Scritture e ricordi

Cento anni in venti minuti

 

Domenica 31 agosto Giuseppina ha compiuto cento anni. Oggi, martedì, gli amici dell’ATTE hanno voluto festeggiarla.

“l’è un triduo!”

 

Infatti domenica c’è stata la festa con i famigliari, ieri l’incontro con il sindaco e oggi con gli amici del coro ATTE, con i quali ha cantato per tanti anni.

 

Ecco che arriva, i capelli bianchissimi, elegante nel suo vestito di seta, un filo di perle e il suo sorriso. C’è musica, lo spumante, una torta grandissima, ce n’è per tutti, arrivano anche i bambini della scuola. Che confusione! Ma lei è serena e un po’ commossa. Bianca le legge belle parole d’augurio e un po’ della sua storia, scritte su una pergamena.

 

“Possiamo pubblicarle sull’Informatore?” Ha preso il foglio, l’ha letto tutto, a voce chiara, senza occhiali (che invidia!) poi ha detto: “Fate pure, ma è necessario? Ci crederanno? Non merito tutto questo!”

 

Poi è tornata a casa, a piedi, come era venuta. Abbiamo percorso assieme quel pezzo di strada in salita e mi ha raccontato un po’ della sua vita, cento anni in una ventina di minuti.

 

“Ci sono stati anche momenti tristi e brutti, ma quelli li tengo dentro di me”.

E racconta della sua vita di sarta in fabbrica, a quattordici anni andava due volte al giorno da Rancate a Mendrisio, con gli zoccoli.

Poi si è sposata, il marito si era appena messo in proprio con una bottega di falegname, quando si ammalò gravemente e dovette stare per mesi all’ospedale. C’erano i macchinari da pagare e tre figli da crescere. “Il maestro del paese ci vendette la casa e abbiamo aperto un piccolo negozio di alimentari. Questo non l’avevo mai fatto e mi sono detta che avrei potuto farmi insegnare da qualcuno, avrei fatto più in fretta, ma da sola avrei imparato meglio. Abbiamo pagato i debiti della casa e i macchinari da falegname, ci hanno aiutato tutti e ci hanno voluto bene perché eravamo onesti. I soldi non bastavano e ho cucito grembiuli a domicilio, la figlia maggiore aveva solo tredici anni e già mi aiutava, il lavoro era tanto e bisognava spedirlo per tempo a Zurigo, lavoravamo anche di notte. Non ci siamo arricchiti, non abbiamo messo tende e tappeti nella casa, abbiamo vissuto semplicemente e abbiamo potuto costruire la nostra casa e aprire un distributore di benzina. Per anni si è lavorato bene, finché il commercio è diminuito.

Poi il marito si è ammalato nuovamente e l’ho curato io per dieci anni, non l’ho portato in casa per anziani!

Più tardi il marito non c’era più e dico un grande grazie all’ATTE che mi ha dato tante occasioni di partecipare a gite, a soggiorni ad Abano (dal ’93 fino a pochi anni fa) a cantare in compagnia a giocare a carte e a tombola. La tombola! Vado ancora a Mendrisio tutte le settimane, passo una bella serata,

non per vincere (lo dice lei!) ma per stare assieme a conoscenti e mantenere la memoria e a chi dice che si mangiano tanti soldi, dico che bisogna contarli prima di giocare e non spenderne di più.

Oggi sono contenta, al mattino ringrazio il Signore per la vita che mi ha dato e per avere tre bravi figli.

Faccio le mie faccende, cucino, riordino la casa. La sera non guardo tanto la televisione perché non sento bene e allora leggo e qualche volta non mi accorgo che sono le undici e mezzo, vado a letto tranquilla, in pace con tutti."

 

Tanti auguri Giuseppina e grazie per la serenità che sai donare!

Candida

settembre 2014

La sagra di Porbetto

 

Nella Costa di Mezzo, su verso i monti sopra Incella, in mezzo al bosco si apre uno spiazzo dove c’è un pianoro con il piccolo nucleo di Porbetto.

Luogo quieto per la maggior parte dell’anno, dove uccelli e piccoli animali vi regnano indisturbati fino a quando, in estate, qualcuna delle cascine veniva utilizzata nei periodi della transumanza.

In quel luogo sorge un Oratorio dedicato alla Vergine del Buon Consiglio; una costruzione datata dopo il ‘700, mentre l’immagine della Madonna con il Bambino, sembra risalire a fine ‘500.

Per molto tempo lassù si è svolta una delle sagre di Brissago: la Festa di Porbetto. Ogni anno, di solito l’ultima domenica di agosto, molti brissaghesi percorrevano a piedi la strada che sale all’Oratorio. Frotte di bambini affiancavano mamme e nonne che al braccio portavano i fagotti con il necessario per un pranzo all’aperto. Allegramente i bimbi percorrevano il tragitto avanti e indietro ingannando il tempo con i giochi, mentre le donne discorrevano di questioni legate alla vita del paese o della fabbrica (oggi si direbbe “di gossip”) e gli uomini disquisivano di politica e di donne.

Poi la campanella chiamava a raccolta; con i primi rintocchi rammentava a tutti la necessità di affrettare il passo perché la Messa era imminente e i ritardatari sarebbero stati costretti a sostare non solo sul sagrato, ma sul prato adiacente.

Terminata la funzione liturgica l’ampio spiazzo si era oramai riempito, anche con qualche negoziante salito fin lassù per vendere alimentari, oggetti d’uso quotidiano e anche agricolo oltre alle carabattole tipiche delle sagre.

Finalmente ci si apprestava al consumo del pasto che ai tempi era costituito da ben poche cose.

Solo verso gli anni sessanta venne introdotta l’usanza di preparare il pranzo sul posto. Gruppi appartenenti alla pro-loco per pochi soldi offrivano a fedeli e turisti pietanze tipiche: polenta e latte, polenta con mortadella e fagioli, pasta al sugo, minestrone, formaggi.

La festa continuava nel primo pomeriggio con il Vespro -quale momento di riflessione- ma poi consentiva momenti di evasione dalle non sempre facili condizioni del vivere quotidiano e si manifestava con i canti e i balli, condotti dal solito gruppo di suonatori –Bino in primis– nell’attesa del momento dell’incanto dei doni.

D’incanto il brusìo si quietava; il banditore iniziava la sua “recita”, prolungando a dismisura il suo dire per far lievitare i prezzi dei doni (di solito prodotti alimentari -qualche salame, le luganighe, gli oss di mort e la mostarda del Marcionni, …): “a 10.- fr. e una, e due, e due e mezzo, …”.

Quello era un momento che incuriosiva noi bambini e, qualche volta, maliziosamente una vocina si manifestava o con l’incentivazione del prezzo o anticipando il dire del banditore “…e due, e …” arrivava un inappropriato “tre” a chiudere anticipatamente la tornata cui seguivano inevitabili discussioni.

Per i giovanotti era quella una delle occasioni per sfoderare il corteggiamento delle ragazze.

Poi le donne, contente della giornata trascorsa con le amiche, iniziavano a raccogliere le loro cose portate al mattino, richiamavano mariti e figli e un po’ alla volta iniziavano il cammino di ritorno verso casa, ma un po’ meno allegramente dell’andata.

Tutti abbandonavano il pianoro di Porbetto dandosi appuntamento al prossimo anno. Allora qua e là si sentivano riecheggiare i richiami serali degli uccelli e piano piano il bosco riprendeva finalmente il suo quieto brusio.

 

Marilena

agosto 2014